In questa nostra rubrica, abbiamo l’onore di ospitare Roberto Panizzolo, Professore presso l’Università di Padova, esperto di Operations Management, che risponderà alle nostre curiosità riguardo alle prospettive per le nuove generazioni, alle competenze più richieste dalle aziende, alle professioni del futuro e molto altro. Ringraziamo tantissimo il Professor Panizzolo per la disponibilità e vi suggeriamo di leggere con attenzione l’intervista che contiene spunti molto interessanti.

Se siete interessati a seguire le attività del Professor Panizzolo potete seguirlo sul suo profilo Linkedin a questo link Profilo LinkedIn Roberto Panizzolo

Professor Panizzolo, per cominciare ci racconti qualcosa di lei e del suo lavoro

Sono nato nel 1961, sono sposato ed ho tre figli. Mi sono laureato in Ingegneria Elettronica e ho conseguito un Dottorato di Ricerca in Scienza dell’Innovazione Industriale. Da oltre 25 anni svolgo attività di ricerca e formazione sui temi dell’Operations Management con particolare riguardo ai metodi e agli strumenti del Lean Management. Sono professore di “Organizzazione della Produzione e dei Sistemi Logistici” e di “Lean Management” presso la scuola di Ingegneria dell’Università di Padova dove sono anche direttore del corso post-laurea in “Lean Manufacturing”. Possiedo una solida esperienza in progetti di riorganizzazione aziendale nei quali ho gestito percorsi di cambiamento finalizzati al miglioramento delle prestazioni tramite ridisegno del modello produttivo e logistico. Opero con un approccio integrato che considera simultaneamente gli aspetti tecnologici, gli aspetti gestionali e quelli organizzativi. Sui temi delle Operations ho pubblicato oltre 160 lavori su qualificate riviste scientifiche e atti di convegno sia a livello internazionale che nazionale e sono coautore di cinque monografie.

 

Ci parli un po’ dell’ambito accademico in cui svolge la sua attività

Insegno, ai futuri ingegneri gestionali e meccanici nell’ambito della laurea magistrale, le tematiche riguardanti la gestione della produzione industriale con particolare riguardo alla filosofia  di management basata sul Miglioramento Continuo e universalmente nota con il termine Lean Management. Sono temi, credo, di grande rilevanza se vogliamo mantenere nel nostro paese una manifattura in grado di competere con successo con il resto del mondo.

Quali sono le competenze più richieste dalle aziende in questi ultimi anni?

È questa una domanda complessa. Ad ogni modo può essere di aiuto ricordare un interessante e recente studio di EURES, il portale europeo della mobilità professionale, presentato nei primi mesi del 2019, nel quale si evidenzia come tra le competenze trasversali ricercate dalle imprese si collocano al primo posto la creatività, la collaborazione, l’adattabilità e la gestione del tempo. Per quanto riguarda invece le competenze di base l’elenco è dominato ovviamente da competenze relative alle tecnologie e all’ambito digitale. Di fatto, molti processi aziendali, dal marketing alla progettazione, dagli acquisti alla produzione stanno cambiando per effetto della digital transformation.

In che modo l’Università sta preparando gli studenti a rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro?

A questa domanda rispondo facendo riferimento alla situazione di Ingegneria che è quella che conosco più da vicino. Non sono sicuro che quello che sto per dire sia valido anche per altre scuole universitarie. L’università è cambiata molto negli ultimi decenni e molti sforzi sono stati fatti per creare una sinergia efficace nei rapporti tra università, studenti, imprese, mondo del lavoro con ricadute positive sull’intero tessuto produttivo e sociale. In questo senso, molti insegnamenti universitari sono oggi vicini alle esigenze del mondo delle imprese, il volume di attività di studio e ricerca svolta assieme alle aziende è cresciuto enormemente e molte imprese si rivolgono al nostro dipartimento universitario per affrontare assieme tematiche tecnologiche e gestionali.

In altre parole, accanto ai due obiettivi fondamentali della formazione e della ricerca, l’Università persegue ormai con determinazione la cosiddetta terza missione, opera cioè per favorire l’applicazione diretta, la valorizzazione e l’impiego della conoscenza per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della società.

Se queste sono le luci ci sono però anche delle ombre. Spingendo troppo l’acceleratore verso una più stretta interazione tra Università e mondo delle imprese c’è il rischio di perdere alcuni dei tratti della figura dell’ingegnere italiano che tanto apprezzamento riscuote all’estero. Sto facendo riferimento alla capacità dell’Università di garantire non tanto o non solo che i neolaureati in ingegneria siano in grado di svolgere una certa professione (ovvero individui bell’e pronti, già impiegabili in una precisa posizione) ma che essi sviluppino l’attitudine a imparare le cose, in larga parte imprevedibili, che gli serviranno in futuro. In altri termini, le persone devono uscire dall’università sapendo che cosa vuol dire approfondire un problema quanto serve, senza accontentarsi di soluzioni approssimative e come andare a cercare le informazioni quando gliene servono di nuove che ancora non conoscono, devono possedere cioè la competenza del Problem Solving.

In questo senso la riforma del percorso universitario che ha portato ancora anni fa ai due livelli di laurea e più recentemente l’avvio delle cosiddette lauree professionalizzanti in Ingegneria, a mio parere non aiutano ad andare in questa direzione.

Professor Panizzolo, nei prossimi 5 anni quali saranno le professioni emergenti?

Anche questa è una domanda complessa visto quanto riporta uno studio del World Economic Forum secondo il quale il 65% dei bambini che oggi iniziano la scuola elementare “da grande” farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno. Ci sono centinaia di studi e siti web che ci ricordano quasi quotidianamente quali saranno le professioni emergenti dei prossimi 5 o 10 ma anche 15 e 20 anni. Forse, più che ragionare su quali saranno le singole professioni emergenti, è più profittevole individuare i settori trainanti nel futuro l’economia non solo italiana. In questa prospettiva credo che la rivoluzione digitale e l’eco-sostenibilità saranno due ambiti in grado di generare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ricordo inoltre un terzo settore che a mio giudizio avrà un’enorme rilevanza nei prossimi decenni: il sistema sanitario. La sempre maggiore complessità di questo sistema conseguente alla crescente sofisticazione delle tecnologie e dei servizi disponibili e la progressiva crescita della domanda sociale derivante sia dai fenomeni demografici di invecchiamento della popolazione sia dalla maggiore aspettativa sviluppata dalla popolazione assistita, sono i due principali elementi che concorreranno all’aumento dei posti di lavoro in questo ambito.

Come sono viste le aziende italiane in termini di innovazione e dinamismo sul mercato internazionale?

L’economia internazionale è cambiata radicalmente negli ultimi due decenni: sono entrati in scena nuovi grandi e importanti attori (Cina, India,….), l’Europa ha adottato la moneta unica che elimina spazi per le svalutazioni competitive come strada per compensare le inefficienze e aggredire i mercati, abbiamo assistito al processo di allargamento dell’Unione Europea, abbiamo vissuto la grande crisi, prima finanziaria e poi industriale, scoppiata negli anni 2007-2009, la manifattura si sta sempre  più digitalizzando.

Tutti questi fattori hanno inciso pesantemente sul profilo competitivo delle imprese manifatturiere italiane. Una parte delle nostre aziende è riuscita in qualche modo a superare questi fattori, in particolare quelle che realizzano buona parte del loro fatturato sui mercati internazionali ma per tante altre aziende sono ancora diversi i problemi da risolvere. In primo luogo, occorre puntare sulla consapevolezza degli imprenditori per sollecitare investimenti sia in ricerca/innovazione che in formazione rivolta al capitale umano. L’innovazione non solo di prodotto ma anche di processo per ottimizzare i costi e migliorare la flessibilità, mentre la formazione del personale rappresenta uno dei passaggi chiave che un’azienda ha bisogno di attuare per essere competitiva in un mondo in cui i cambiamenti avvengono con estrema rapidità. Potenziando al massimo lo sviluppo dei propri lavoratori, è possibile puntare a una maggiore competitività strategica di successo.

Altro tema critico è il livello di digitalizzazione. Solo una piccola parte delle nostre aziende sono compiutamente digitalizzate, per molte altre il percorso da compiere è ancora lungo. La digitalizzazione è ormai la chiave per la competitività, rappresenta una leva essenziale per accrescere la capacità delle imprese di giocare un ruolo crescente sui mercati internazionali. Tardare il processo di digitalizzazione di un’impresa significa limitarne gli strumenti a disposizione per il suo business e non poterle permettere di sfruttare appieno tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Sicuramente lei ha un punto di osservazione privilegiato sui giovani di oggi, come vede la generazione Z (i nati dopo il 2000)?

I giovani nati dopo il 2000 devo ancora vederli per la verità, i primi sono entrati all’Università solo lo scorso ottobre e io tengo i miei due corsi nella laurea magistrale. Allargando l’analisi e facendo riferimento ai giovani che frequentano ingegneria (gli unici in realtà che vedo da vicino) sento di poter dire che la stragrande maggioranza di loro possiede buoni valori, tanta voglia di fare e di affermarsi e capaci di trasmettere tanti messaggi positivi.

Professor Panizzolo, a suo avviso quali sono le sfide formative che ci attendono nei prossimi anni?

Per rispondere a questa domanda riprendo alcuni concetti apparsi in un editoriale di Corriere Imprese Nord-Est di un po’ di tempo fa. In quell’articolo si affermava che la formazione deve essere in grado di affrontare situazioni nelle quali i “saperi” che delineano un qualsivoglia mestiere devono integrarsi con le competenze informatiche e digitali, con le abilità di comunicazione e interazione nei social network e, infine, con le modalità di collaborazione in ambienti di lavoro più tecnologici e dinamici. Si enumeravano inoltre, i pilastri su cui costruire le politiche formative, tra questi lo sviluppo di percorsi di formazione caratterizzati da una vera alternanza scuola-lavoro, l’importanza della interdisciplinarietà dei percorsi di formazione in grado di combinare linguaggi disciplinari diversi, la formazione continua per chi già lavora articolata non sui tradizionali percorsi d’aula ma su metodi didattici partecipati, dove si impara sperimentando, interagendo e osservando gli altri e simulando decisioni.

Ricordo infine come le Università, soprattutto all’estero, stanno sperimentando i cosiddetti Massive Open Online Courses (Mooc), corsi online gratuiti o a pagamento, aperti a tutti e intesi per la formazione a distanza di un numero elevato di partecipanti, provenienti da background culturali molto differenziati e da diverse aree geografiche. Offrono opportunità senza precedenti a chi studia ma anche al personale docente.

 

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